IL SOGNO DI EYMERICH.

 

 

I

 

Quel sogno lo aveva perseguitato per un mese intero spezzando ogni suo sonno. Si alzava di scatto in piena notte, ii fiato mozzo, un velo di sudore sulla fronte a quel tremolio nelle gambe che non riusciva ad arrestare. Tutto era cominciato il 23 febbraio dei 2022, a l'incubo si era intensificato con il passare dei giorni. La prima notte non lo aveva particolarmente turbato, se non per la crudezza delle situazioni, a quindi vi aveva dato poco peso, ma in seguito le sensazioni che accompagnavano l'incubo si erano fatte piú intense fino a quando, al primo apparire delle inquietanti immagini, aveva cominciato a provare un dolore fisico a sul suo corpo erano apparse delle cicatrici.

        Il volto del monaco con l'indice accusatore si era impresso nella sua mente ed era diventato un'immagine talmente familiare che gli sembrava di conoscerlo da sempre.  Anzi, in un certo senso gli si era affezionato, sebbene I'odiasse avvertendolo come l'incarnazione della malvagità. La maniera in cui, nel sogno, il monaco procedeva alla sistematica tortura di quegli uomini frustandoli, strattonandone le membra sino alla rottura con l'aiuto di una macchina infernale, riempiendone gli stomaci d'acqua fino quasi a farli scoppiare, lo disgustava, ma, nel profondo, l'attraeva. In un certo senso quelle efferatezze lo compiacevano a un ghigno segnava il suo viso quando le ricordava.

            Più d'una volta, quando il sole era alto e il sogno lontano, si era ritrovato a pensare alla maniera in cui quel diavolo torturava e terrorizzava. Rivedeva le vittime sedute dentro stanze buie, preda déi terrore delle loro stesse menti per giorni; ripensava allo scricchiolio delle porte che si aprivano al carnefice, e i passi lenti a cadenzati del monaco che cominciava a girare intorno a quegli uomini che, legati, non riuscivano a guardarlo in faccia. Si soffermava sugli occhi delle prede, occhi colmi di terrore, a ne godeva. Poi le parole dell'inquisitore: parole lente, misurate, che scavavano nei prigionieri come l'acqua nella roccia. Aveva imparato ad ammirane la furbizia a la sottile ma lucida follia. Ma questo avveniva di giorno, perché la notte Peter era terrorizzato da quel volto spigoloso, che di tanto in tanto lo fissava con occhi che sembravano non conoscere barriere e che affondavano nei suo animo, cogliendone i più intimi e riposti segreti.

            Aveva paura. Provava il terrore degli inquisiti, della carne da macello, e avvertiva il monaco talmente vicino da poterne sentire il puzzo di incenso e l’acre odore della clausura. E di tutto questo non poteva parlare con nessuno: Peter era un solitario e non aveva amici. Della sua famiglia, solo la madre era ancora viva, ma era una vecchia che il tempo aveva reso scema. Non la vedeva da anni. Non c’era motivo di spostarsi dal suo rifugio, nella verde e tenebrosa Irlanda. Giungere fino in Germania per andare a visitare una vecchia gli sembrava veramente una cosa da folli. In fondo non l’aveva mai amata: dubitava perfino che fosse la madre naturale, o forse se ne era solo convinto per cacciare ogni senso di colpa.

            Per nulla al mondo si sarebbe mai spostato dalla sua Irlanda dove aveva trovato la pace! Solo una mattina aveva sentito il bisogno di fuggire, mentre lacerava !'aria con un urlo che aveva poco d'umano. Era accaduto ancora. Ancora una volta una piaga gli aveva mortificato le carni. Questa volta si trattava di una "E" marchiata a fuoco proprio al centro del petto. Il dolore allucinante, mai provato prima, gli aveva offuscato la mente, ma mai quanto la morsa di misticismo che to stringeva. Sì, Peter era un ateo impenitente, o meglio, rifiutava tutto ciò che non aveva una base scientifica. Guai a parlare in sua presenza di Dio, degli angeli o perfino di spiriti e di magia. Peter era il più superbo antagonista delle religioni a di coloro che lui stesso definiva "pietosi creduloni". Odiava i lunghi talari che da un decennio andavano nuovamente di moda tra i preti cattolici; più volte aveva maledetto I'uomo vestito di bianco che sedeva sul Trono di Pietro. Imprecava quando vedeva uomini che impugnavano rosari a recitavano quelle insulse litanie a statue di pietra. Eppure, da quando quel sogno lo perseguitava sentiva l'estremo bisogno di avvicinarsi a Dio.

            I segni erano molti a persistenti. Una mattina, quasi senza pensarci, aveva percorso più di tre chilometri per raggiungere la piccola chiesa medievale che sorgeva al centro del paesino. Pioveva, il cielo cupo era squarciato dai lampi a il vento gelido frustava impietosamente le fronde e strattonava le persone.

            Entrato in chiesa fu colto da un malore. Il solo vedere le ossa ingiallite di un morto offerte al pubblico, orripilante reliquia per i credenti, lo disgustò a tal punto che dovette reprimere un conato di vomito. Osservò i dipinti che troneggiavano dalle lunette laterali, e vide la testa di Giovanni battista su di un piatto e n uomo sulla croce sanguinante e un altro legato a un palo con cento frecce sul corpo. Dalle volte, rese ancor più sinistre dalla penombra, lo osservavano gli angeli con le trombe e un drago con mille teste. Più in basso la scritta: “Apocalisse”. La testa gli girava e si appoggiò a una colonna, ma con gli occhi non riusciva a smettere di passare da un’immagine ad un’altra e tutto si ripeteva ciclicamente come un filmato.

            Svenne!

            Si risvegliò in una stanza semibuia, rischiarata dalla luce fioca di una candela. Rimase alcuni istanti impietrito, senza riuscire a ricordare come fosse finito in quel luogo. Si portò la mano sul viso senza badare subito a ciò che avvertiva, ma poi vi pensò. Non aveva mai portato una barba tanto lunga! Ci volevano almeno una decina di giorni per farla crescere: quanto tempo era rimasto in quel luogo?

            Lo sguardo impaurito spaziò verso la parete di fronte e la sua paura divenne panico. Scrutò con attenzione quel volto, osservandone attentamente il mento spigoloso e gli occhi crudeli. Era proprio il monaco dei sogno. Troneggiava nella stanza da quel dipinto vecchio e scuro, e con I'indice sembrava indicarlo. II suo sguardo sembrò scendere fino alle viscere di Peter, che per la prima volta nella sua vita si sentì completamente perduto.

 

II

 

Tornava ad Avignone afflitto dal tradimento di Giovanni I° e sconfitto da coloro che senz’altro erano figli del demonio, e non poteva fare a meno di pensarci ad ogni passo che quella stupida bestia affondava nel terreno fangoso e certamente pieno di animali microscopici quanto disgustosi.

          Fissò il suolo per alcuni istanti, immaginò le forme orrende di quegli animali invisibili a la sua bocca si contrasse in una smorfia di disprezzo, mentre con is mano spolverò il saio. La sua mente riandò al volto di Giovanni I°, che gli apparve limpido come se io avesse davanti. Represse un moto d'ira e giunse le mani supplicando il Dio degli eserciti di inviare una legione d'angeli per liberare finalmente il regno da quel sedicente Vescovo, ma al contempo una sensazione di impotenza lo fece vacillare. Aveva fallito a questo era inequivocabile. Forse aveva calcato troppo la mano nel reprimere gli eretici di Valencia, ma non era il tempo dei ripensamenti: il suo operato sarebbe stato giudicato meglio dalla storia piuttosto che da tutti i nemici che si era fatto durante la sua vita. E c'era anche questo da mettere in conto: era vecchio a stanco, a anche se l'ardore non mancava, il corpo cominciava a far sentire tutte le prove alle quali era stato sottoposto.

            Eymerich giunse nuovamente le mani e supplicò il Dio della giustizia di permettergli in vita di trovare la giusta vendetta.

            II cavallo con il quale era partito, solo e di nascosto, per evitare la vendetta di qualche perseguitato, vacillò e lo fece cadere nel fango. Affondò il viso a le mani nella melma e il dolore gli consentì di rialzarsi solo dopo qualche secondo. Avrebbe preferito morire piuttosto che immaginarsi tutti gli animali che ora si trovavano sulle sue membra. Si pulì con uno straccio che tirò fuori della bisaccia dell'animale. La sua rabbia era solo sopraffatta dal senso di indicibile impotenza che lo annichiliva.

            Risalì a fatica sul cavallo, gli diede una leggera botta sul collo e la bestia riprese a camminare come se nulla fosse successo, con I'indifferenza di chi non può comprendere.

            "Eymerich I'ingiuria della Chiesa": questo sarebbe stato il marchio che gli avrebbero impresso i posteri a somma vergogna del suo operato. II solo pensiero lo faceva star male. Fissò per alcuni istanti una quercia secolare, mentre il fitto bosco diveniva più rado a presagio della pianura che a poche centinaia di metri già s'intravedeva. Aumentò il passo della bestia e giunse alla vallata verde. Quasi per effetto del nuovo paesaggio riacquistò serenità e fissò l'orizzonte. Avignone non doveva essere lontana e forse il Papa gli avrebbe permesso di porre rimedio ai suoi errori.

 

III

 

La figura che faceva mostra di sé al centro della pianura, a poche centinaia di metri da lui, lo incuriosì a tal punto che non riuscì più a togliergli gli occhi di dosso. Era certamente un uomo, ma dalla statura enorme. Indossava uno strano saio simile a quello francescano, ma non doveva appartenere all'ordine di Francesco: la sua veste somigliava più a quella di un cistercense, sebbene non fosse di quell'ordine. Eymerich, dopo averla meticolosamente osservata, decise di scendere da cavallo e di avvicinarsi a quell'uomo visto di spalle che, in ginocchio, sembrava assorto in preghiera.

            L’inquisitore si fermò a pochi metri dall’uomo che pregava, non avendo animo di interromperlo, e si fece il segno della croce come per volersi intromettere tra questi e Dio, ma il suo tentativo fu vano. Rimase una buona ora ad attendere pazientemente, impassibile alla leggera brezza che si era alzata e alla pioggia fine che batteva l'erba odorosa, sino a quando, spazientito, fece per andarsene.

            "Vedo che non avete molta pazienza, inquisitore Eymerich!"

            Eymerich senti un fremito percorrergli le membra. Come faceva quell'uomo a conoscerlo? E cos'era mai quel tono di rimprovero che fuoriusciva dalla voce rauca dell'altro?

            "Chi siete?" chiese agitato.

            L'uomo non rispose a rimase impassibile, in ginocchio, dandogli le spalle e raccogliendosi in preghiera.

            Eymerich decise di aspettare ancora. Attese un'altra ora e fece per avviarsi.

            La voce dello strano figuro tuonò con più forza:

            "Vedo che non avete molta pazienza, inquisitore Eymerich!"

            L'inquisitore tornò sui suoi passi e la scena si ripeté per la terza volta, ma questa volta le parole di rimprovero mutarono:

            “Se non sai pazientare un’ora, come potrai aspettare mille anni per porre rimedio ai tuoi errori?”

            Eymerich impietrì. Quell'uomo sembrava conoscerlo dentro, ma un moto di stizza lo fece trasalire e urlò:

            "Chi credi di essere tu, per rimproverarmi?!"

            Fu solo allora che l'uomo si voltò, ed Eymerich provò una sensazione di tale orrore e disgusto che stramazzò a terra, sull'erba bagnata e gonfia di vita.

 

IV

 

Non aveva mai visto una cosa del genere! Il volto di quell'uomo era completamente ricoperto di escrementi e di sangue: un groviglio scuro di sporcizia ne violava i lineamenti, come se tutto ii sozzume dei mondo vi si fosse concentrato a formare la nefandezza assoluta.

            "Chi siete?" urlò Eymerich con tutta la forza del suo disgusto.

            "Un uomo," rispose seccamente I'altro.

            "Qual'è il vostro nome?"

            "Uomo!" rispose con forza.

            "Perché vi siete ridotto in quello stato?" chiese l'inquisitore dopo qualche secondo di smarrimento.

            “Per ricordarmi che sono solo un uomo. E voi, Eymerich, santo inquisitore, non lo avete mai fatto?”

            AI solo pensiero di quanto gli si presentava davanti Eymerich fu costretto a reprimere un conato di vomito.

             "È per questo che avete perseguitato g!i uomini per tutta la vostra vita: per superbia?"

            "Per servire Cristo e la Chiesa," fu la risposta.

             "Potevi servirla dentro un monastero in preghiera, o aiutando i lebbrosi, e invece hai deciso d'essere un giudice."

             "Ho seguito la mia vocazione, ho messo a frutto i miei talenti..."

             "No!" urlò, interrompendolo, l'altro "Hai seguito il tuo orgoglio, ecco perché hai fallito."

             Eymerich non aveva la forza di parlare ed era la prima volta che gli accadeva.

            "Guarda il frutto del tuo peccato."

            L'uomo fece un gesto ampio con la mano destra indicando il cielo.

            Eymerich rimase qualche istante perplesso, ma poi seguì con lo sguardo la mano e si voltò verso l’alto. Scorse una fessura di luce microscopica, infinitesimale, che però sembrava rivelare uno strano gorgo, un violento rimescolarsi di luce e di materia. La fessura si allargava lasciando fuoriuscire una specie di vortice che, in breve, lo avviluppò, proiettandolo in uno strano mondo, irreale ma chiaro come un sogno premonitore.

            Si sentì spaurito, Eymerich. Vedeva palazzi enormi; milioni e milioni di uomini che camminavano I'uno al fianco dell'altro; carri velocissimi e diavoli volanti che ruggivano e confusione, molta confusione. Poi, d'improvviso, il mondo cambiò e tornò come quello del suo tempo, ma non si trovava piú nella vallata, bensì in un luogo che non aveva mai visto, dal quale osservava eretici che andavano liberamente professando la loro fede e governanti eretici e preti eretici. Una tale rabbia s'impossessò di lui al punto da indurlo a cercare di afferrarne uno, per trascinarlo con sé, ma si accorse con rammarico che non poteva.

            Le immagini cambiarono di nuovo, vide i due mondi I'uno al fianco dell'altro a notò che dal mondo del suo tempo sgorgava un fiume colmo di eresie che sfociava proprio al centro dell'altro, ed esattamente nel cuore di un uomo sdraiato su di un letto che osservava un quadro che ritraeva proprio lui, Eymerich I'Inquisitore.

Rimase attonito per qualche istante, poi riprese le forze e d'improvviso rivide la vallata a quello strano uomo che lo fissava negli occhi, impassibilmente.

            “Vedi dove ci porterà la tua superbia?”

            Eymerich rimase in silenzio.

            “Il male che non hai sconfitto oggi, riemergerà a distanza di seco!i a porterà il mondo alla rovina a tutto ciò accadrà perché lo non conosci l'umiltà!” e lo indicò con I'indice.

            Eymerich sentì il peso della colpa sulle sue spalle a una fitta a!lo stomaco to fece leggermente piegare, ma dopo brevi istanti riprese forza a chiese decisamente:

            “Cosa posso fare?”

            L'uomo lo fissò per alcuni istanti, sorrise gelidamente a dal suo viso scomparve ogni sozzura. Il suo volto era angelico, ma negli occhi cerulei era presente un velo di durezza, come una mancanza di compassione. Erano occhi da inquisitore ed Eymerich li fissò per alcuni istanti, sino a quando i suoi pensieri furono interrotti dalle parole dell'uomo.

            “Seguimi,” disse I'altro, a si voltò di spalle cominciando a camminare.

 

                  V

 

Peter era sdraiato sul letto a osservava pieno di terrore il quadro. La figura del monaco gli procurava un incontro!labile tremore delle gambe. Chiuse gli occhi ed un'alternanza di immagini cominciò ad ammassarsi nella sua mente. Vide strani volti a gente con abiti medieva!i che lo salutavano con riverenza a lo chiamavano "padre", "frate!lo", "maestro" a poi vide roghi a catene a tutto gli parve familiare, consueto, già visto! Gli riapparve in mente anche quel maledetto monaco a si vide mentre fuggiva ansimando in un bosco, con il monaco che lo rincorreva. Riapri g!i occhi, volendo fuggire quella paura che non sembrava volergli concedere tregua o rifugio.

            II quadro era lì, a catalizzare la poca luce esistente. Lo fissò nuovamente, ma questa volta con odio, intuendo per la prima volta che colui che v'era ritratto era un suo nemico da sempre. Scrutò i suoi abiti, cercando di ricordare, a fissò i suoi occhi induriti, come per cercare la ragione di tanto odio. Non ricordava lucidamente nulla, però. Si abbandonò ad uno scatto d'impazienza, che era uno spasmo di dolore e di tensione insieme. Rimase impietrito sul !etto, le gambe sussultanti, con la convinzione che qualcosa o qualcuno lo avrebbe illuminato.

Qualcosa però stava accadendo. II dipinto cominciava a decomporsi: era come se si fondesse per riprendere lentamente una forma tridimensionale. Come in una lento trasudazione la vernice sembrò fuoriuscire dalla tela, rimase sospesa nell'aria per poi ricostruire minuziosamente la forma del monaco, che ora to fissava in carne ed ossa.

 

VI

 

Eymerich seguiva la figura senza esitare e, mentre camminava, comprese che quell'uomo lo aveva giudicato, condannato a che ora gli stava concedendo la possibilità di espiare, di riparare le sue colpe. Si sentì felice di questo, ma la sua gioia lo percorse come un brivido gelido, carico di odio a volontà di vendetta.

“Questo è I'unico modo che hai per riparare ai tuoi errori!” disse rabbiosamente I'uomo mentre indicava un abisso che si apriva senza preannuncio nella terra, a che Eymerich non riusciva ancora a scorgere.

            l'inquisitore percorse velocemente i venti o trenta passi che lo separavano dal pozzo, che aveva un diametro di almeno trenta braccia, ma non appena vide, si ritrasse inorridito. Era la cosa più disgustosa che avesse mai guadato. A dieci metri dalla bocca del pozzo, un vortice di letame, germi a sangue risucchiava tutto verso il basso. Era come se ogni piaga di ogni lebbroso o di ogni appestato fosse stata immessa in quel vortice a il puzzo che ne fuoriusciva era nauseante.

            “È questa la possibilità che ti si offre! Devi gettarti nel vortice per poter riparare ai tuoi errori,” disse l'uomo, indicando il fosso.

            “E che cosa accadrà se non lo faccio?” chiese Eymerich, quasi a voler cercare scampo.

            “Che le eresie sopravvissute a causa dei tuoi errori esploderanno nel ventunesimo secolo a saranno ereditate da un uomo piccolo a meschino che seminerà !'errore ne! mondo. Ma forse è meglio che lo veda con i tuoi occhi,” e con la mano indicò nuovamente un punto nel cielo.

            Eymerich to fissò e fu nuovamente trasportato in uno strano mondo. D'improvviso vide un'umanità appestata che cercava scampo da dittatori, da tiranni che sventolavano bandiere sulle quasi era impresso, sotto nuove spoglie, il marchio dell'eresia, sempre chiaro ai suoi occhi. Vide bambini appena nati sacrificati ad ambigue statue a madri costrette ad assistere ai sacrifici. Ma la cosa che lo impressionò maggiormente era la mancanza di Dio in quel mondo futuro a la totale privazione di ogni rifugio spirituale per gli uomini. Cadde a terra esausto, ma con la chiara coscienza di non poter esimersi dal suo dovere.

            Dopo qualche minuto si rialzò in piedi a fissò il monaco nelle pupille, quindi senza esitare si gettò in quel vortice di sozzura. Ne fu immediatamente risucchiato a per motto rimase a dimenarsi tra il letame e i morbi che gli attaccavano il corpo. In breve anche la sua testa ne fu sommersa, e in quei momenti Eymerich capì che era solo un uomo! Chiuse gli occhi a pensò di morire, ma proprio quando la nausea a il disgusto lo stavano sopraffacendo sino allo svenimento, si sentì pulito, immacolato a si vide in una stanza all'interno di un quadro. Lentamente la vernice cominciò a smaterializzarsi, a fondersi a lui prese forma nel mondo futuro.

 

VII

 

Eymerich guardò ancora una volta quello strano monaco, poi diede un calcio al cavallo, facendogli aumentare il passo. Non riusciva a comprendere cosa gli fosse accaduto, ma una cosa era chiara: sentiva che non io avrebbe mai più incontrato a avvertiva nel cuore un senso di soddisfazione. Non era riuscito a debellare gli errori del suo tempo, ma ne aveva estirpato i semi a il mondo dei futuro ne sarebbe rimasto immune. La luna si mostrava nella sua interezza: non più una falce pronta a ghermire i miseri ed i deboli, ma la rassicurante forma della totalità, del grembo materno. Eymerich la guardò e, nonostante gli ricordasse la donna, in quei momenti riuscì ad apprezzare anche quell'astro come creazione di Dio. Abbassò quindi la testa e pensò solo ad Avignone a al Papa. Forse avrebbe potuto ancora servire la chiesa.

 

VIII

 

Al funerale c'era soltanto una vecchia giunta dalla Germania a resa scema dal tempo.

            Farneticava, la vecchia, urlando cose assurde che il prete non riusciva a comprendere, ma che avevano un senso.

            “È tornato il maledetto per ucciderti! È tornato Eymerich!”

            E si dimenava, la vecchia, maledicendo e indicando il cielo.

            Terminato il funerale, il giovane prete si diresse nella stanza dove l'uomo era stato trovato morto, probabilmente suicida. Guardò il quadro che aveva osservato tante volte con disinvoltura a lesse I'iscrizione in basso: " Eymerich". Rimase turbato a ne fissò il soggetto per alcuni secondi, quindi si voltò e andò via. Per il resto della vita non avrebbe mai dimenticato quel volto spigoloso e quegli occhi da diavolo.